La 12 ore revival del prossimo ottobre è frutto di una cospirazione perpetrata da un commando di romantici, malati di ricordi. Un manipolo di cinque persone che hanno agito oltre il punto di non ritorno.
Stretto il patto scellerato, in pochi giorni la scintilla è diventata falò ed i cinque sono diventati cinquanta. Ognuno con un ruolo preciso, un compito da svolgere.
Il fatto è che la maggior parte di coloro che coloro che verranno a dar man forte all’organizzzione, si è autoproposta e così, come per i piloti che vogliono rivivere la gara, anche loro vogliono tornare a quei giorni, quando ventenni o giù di lì misero le loro braccia a disposizione del motoclub. Al controllo a timbro in cima alla montagna, ci sarà lo stesso che, allora, trascorse la notte precedente in una piccola tenda, piantata nella neve. Allora giovane di belle speranze, oggi, Andrea, affermato manager del mondo della nautica, vuole rivivere quei momenti “sperando che stavolta non nevichi, ma, con l’esperienza, mi preparerò l’abbigliamento adatto”
Ci sarà Alessandro, che non praticando più da decenni il fuoristrada (nel 75 gareggiava in sella ad un Rond-Sachs 50), verrà a presidiare la prova speciale di cross, in coppia, stavolta, con la moglie che non vede l’ora di vivere la #dodiciore ed il vecchio mondo amato dal suo ‘faraone’.
Non mancherà Beppe, il medico che dopo essersi tolto la polvere di tante Paris-Dakar, è tornato ad indossare il camice per coordinare l’attività dell’apparato di sicurezza.
Insomma, non devi essere per forza in gara in quei giorni, per dire #iocisarò
Se è vero, come dicevamo, che il delitto fu frutto di una cospirazione, è altrettanto vero che su tutti ci fu un responsabile, un membro che armò il commando e che mosse la mano che inferse il primo decisivo fendente al cuore del vecchio padre.
Come sempre accade nei gialli ben architettati, l’assassino non ha mai le sembianze dell’assassino, la sua presenza sembra sempre accessoria. Tutto lo pone al di sopra di ogni sospetto. Si comporta in modo da non dare nell’occhio, usa modi delicati, la sua voce è sempre un tono sotto le altre, il suo sguardo è suadente, eccelle solo per la sua posizione professionale.
Ma noi, oggi, siamo in grado di smascherarlo.
Si tratta di Marco Romanelli.
Ma chi? Il docente dell’Università di Pisa?, il Primario del Reparto di Dermatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, nonchè uno dei più presenti relatori nei principali congressi medici in tutto il mondo?
Si! lui! Proprio lui!
Come è stato possibile?
“il mio è stato un delitto passionale, figlio di un amore per la Regolarità nato nel 1977 quando, ancora minorenne, portai mio padre di fronte ad un notaio a firmare l’autorizzazione per richiedere la prima licenza. Il mio amore si è rafforzato quando su un’isola famosa che è davanti a casa mia (il nostro abita a Pisa ndr) si svolse una mitica sei giorni e io ebbi l’onore di fare da uomo ombra ad un amico che gareggiava. Si chiamava Giovanni Manfredi e, pronti via, dopo tre ore di gara del primo giorno ruppe il motore. Lo trovai tristissimo con un marshall che lo scrutava. Un cenno d’intesa e ci ritrovammo dentro ad un pollaio dove, in mezzo a galline molto più tolleranti, potemmo cambiare i pezzi per farlo ripartire. Giovanni arrivò alla fine della sei giorni con la medaglia in bronzo che un po’ sentii anche mia. Ma la soddisfazione maggiore fu quella di vedere l’uomo che era a capo dell’armata azzurra, essere portato in trionfo. Quell’uomo diventò un mio idolo, soprattutto, per me campanilista, un toscano che era riuscito a trascinare la squadra azzurra alla vittoria per la terza volta consecutiva. Dopo tanti anni ritrovai questa figura in un aeroporto mentre ci imbarcavamo sullo stesso volo. Mi presentai e da quel giorno iniziò una duratura amicizia. Negli ultimi anni sempre più spesso abbiamo parlato della 12 ore del Ciocco e di quello che ha rappresentato nella storia della Regolarità. Avrei tanto voluto rivivere quei giorni, io che non avevo neppure assistito alla edizione del 75, ma che ne avevo sentito parlare e scrivere al punto di insistere con Daniele fino a quando, allargando la cerchia a partire da Valerio Barsella, boss degli eventi sportivi al Ciocco e Francesco Lunardini, presidente della Perla del Tirreno, riuscimmo, forse per sfinimento, a strappargli un: ‘proviamoci’.
Sono convinto che quello del 22 ottobre sarà il più grande evento della stagione regolaristica.
Unico problema, che per punire le mie insistenze, mi hanno costretto a rinunciare a partecipare col mio Ancillotti. Devo lavorare, saremo in 80 a lavorare. Nel ‘75 avevo 15 anni e quindi non avrei potuto partecipare alla #dodiciore ma in seguito potei apprezzare i percorsi del Ciocco, quando fui alla partenza in una delle mie prime gare del campionato toscano”
Tutti ti conoscono come un fedelissimo di Ancillotti:
“la mia passione per l’Ancillotti è nata dal fatto che il mio babbo non me l’ha voluto comprare quando avevo 14 anni ma quando me lo sono potuto permettere ho iniziato a comprare il primo. Ho una piccola collezione. Probabilmente sempre per una questione campanilistica, loro sono fiorentini ed hanno contribuito a costruire i miei sogni di fuoristradista”
#iocisarò
#dodiciore